Se la moralità diventa una scusa per non crescere

Nel weekend si è prodotta una piccolissima tempesta social riassumibile come segue: un sacerdote ha comunicato su Twitter di aver rifiutato a una ragazzina la qualifica di madrina per la cresima del fratello, perché le foto sul di lei profilo Instagram gli avevano ispirato più di un dubbio sulla sua condotta morale.

don_cresima

Questa esternazione, fatta in toni a dir poco orrendi, ha scatenato un discreto putiferio. A me sono parsi decisamente poco opportuni sia l’atteggiamento che il linguaggio ma dopo un breve commento in questo senso ho considerato chiuso l’argomento, anche perché nel frattempo il don aveva cancellato il suo profilo.

Stamattina però ho visto che la discussione è continuata e in particolare alcuni dei difensori del sacerdote sembrano essere dell’opinione che a essere sbagliata fosse solo la scelta lessicale; dovendo esprimersi sull’idoneità morale di una persona a ricoprire il ruolo di madrina, sostengono, è del tutto normale che un sacerdote la valuti sulla base di tutti gli elementi che ha a disposizione. Ecco, permettetemi di esprimere qualche dubbio.

Innanzitutto ribadisco: che un uomo adulto spii il profilo Instagram di una giovane donna con cui non ha un rapporto paritario di amicizia è di per sé perlomeno ambiguo, e non ho nemmeno considerato il discorso del voto di castità. Ma anche ammettendo che lo faccia nello stesso spirito con cui un datore di lavoro cerca i profili Facebook dei candidati che ha deciso di chiamare per un colloquio, non credo siamo tenuti ad accettare che questa giustificazione gli dia sostanzialmente carta bianca. In altre parole, “Se vuoi fare la madrina devi conformarti agli standard del catechismo” vale solo fino a un certo punto.

Non mi interessa qui discutere in dettaglio la figura delle “guide spirituali” per battesimo e cresima; mi limito a notare che l’evoluzione dei costumi da una parte e la rigidità del diritto canonico e dei precetti del catechismo dall’altra ha inevitabilmente portato a uno scollamento che, per forza di cose, ogni sacerdote finisce per dover riconciliare da sé in maniere diverse. C’è chi come il don in questione ritiene di doversi trasformare in segugio digitale, chi come il sacerdote che battezzò il mio figlioccio è felice di lasciare la scelta interamente ai genitori, chi addirittura sostiene che madrine e padrini andrebbero aboliti tout court. Un buon riassunto della questione si trova qui.

Quello che vorrei sottolineare invece è una cosa che pare tendiamo a dimenticarci quando si parla di religione e soprattutto di Chiesa cattolica: i fedeli non vivono in un vuoto pneumatico isolato dal resto del mondo e i precetti religiosi non creano esenzioni speciali ai fondamentali requisiti di rispetto degli altri. Se anche si ritiene che un sacerdote sia tenuto a controllare l’idoneità al ruolo di un/a candidatx al madri/padrinaggio, ciò non significa che dobbiamo chiudere gli occhi su come lo fa. Trarre conclusioni sul modo in cui una giovane donna gestisce la propria vita, sessualità inclusa, in base a un suo profilo social ed esprimere giudizi censori sul suo carattere non è zelo sacerdotale: è patriarcato 101 e ormai inaccettabile nel XXI secolo.

Nella pratica la Chiesa stessa ha già fatto mostra di una certa elasticità sul tema: per esempio, non ricordo di aver mai visto un parroco impedire l’abito bianco a una sposa che conviveva già con il futuro marito o che aveva già avuto dei figli. Ostinarsi a tracciare un’equivalenza tra la libera sessualità femminile e l’incapacità di dare valori morali è retrogrado e sessista, e non ha nulla di spirituale.

Quando si parla di diritti ed evoluzione della mentalità si usa spesso una metafora che mi piace molto, quella della scala: alcuni di noi sono su gradini alti, altri più in basso, ma il movimento dev’essere sempre verso l’alto. In altre parole, non spetta a chi ha raggiunto standard di uguaglianza e libertà più inclusivi scendere per accomodare le esigenze di chi ha un approccio più restrittivo; è chi sta in basso a dover fare lo sforzo di crescere per poter salire.

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